Storie di bimbi e genitori speciali che hanno scelto di offrire la loro esperienza a tutti voi.


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Sono la mamma di Matteo e Matilde. Matteo è nato il 31.05.2001 a 39+6 giorni di gestazione con il peso di 3.700 chili dopo un lunghissimo travaglio (24 ore), bello e sano. Oggi ha quasi tre anni ed è uno splendido bambino. La gravidanza è stata meravigliosa.
Io e mio marito abbiamo sempre desiderato avere più di un figlio, lui perché figlio unico, io perché legatissima a mio fratello. Quando abbiamo deciso di avere il secondo bambino, Matteo aveva un anno e mezzo, con nostra grande gioia sono rimasta incinta subito. Mi aspettavo un’altra gravidanza serena, senza problemi. Alla dodicesima settimana si vedeva già il sesso: una femmina! La nostra felicità era immensa, una bambina! Un maschio e una femmina, la famiglia perfetta. Mi sentivo la persona più fortunata del mondo. Cosa potevo desiderare di più dalla vita?
La mia seconda gravidanza è stata subito diversa dalla prima. Il primo giorno di ritardo ho fatto il test, perché la mattina mi sono alzata con una fortissima nausea. I primi due mesi sono stati scanditi da terribili nausee e da un senso di spossatezza che mi sfibrava. Ma erano tutti disturbi “normali” della gravidanza. I guai sono iniziati al terzo mese: abbondanti perdite ematiche, ma la bambina cresceva ed era vitale. Sono stata ricoverata alla 12 settimana per un’emorragia, che si è risolta nel giro di un paio di giorni. Le perdite sono proseguite fino alla 15 settimana, accompagnate da contrazioni, e si sono risolte dopo una cura di progesterone e buscopan. A questo punto della storia, la mia bambina deve la vita alla mia brava ginecologa, che non si è arresa alla teorica “in difendibilità” della gravidanza nel primo trimestre, e ha voluto provare il tutto per tutto., perché la piccola cresceva e stava bene. Riposo assoluto. Alla 17 settimana faccio l’amniocentesi e il pap-test, in stato confusionale perché temevo terribili conseguenze. Non succede nulla, non la minima contrazione e i risultati sono ottimi. Sono felice, vedo la luce in fondo al tunnel. Alla 19 settimana mi sembra di rinascere: perdite e contrazioni sono sparite definitivamente, niente più nausee, tutti i problemi sembrano rientrare. Ricomincio a lavorare dopo due mesi di assenza forzata. La mia vita riprende i suoi ritmi normali. Mi dico: d’ora in poi vedrai solo la pancia crescere, come per la prima gravidanza. Tutto procede per il meglio e io torno a sentirmi la persona più fortunata del mondo.
Il disastro arriva all’improvviso. Il 2 Agosto 2003, a 26+2 settimana nel pomeriggio sento delle piccole perdite di acqua e penso a un problema di incontinenza. Ero in vacanza da due giorni in Liguria con la mia famiglia. Noi siamo di Milano. Le perdite continuano e verso sera diventano più abbondanti. Non sono tranquilla, dico a mio marito, andiamo al pronto soccorso a fare un controllo. Alle 21.00 arriviamo al Pronto Soccorso dell’ospedale di Savona.
Nonostante fosse la mia seconda gravidanza e quindi, in teoria, dovevo intuire quello che mi stava accadendo, fino al momento della visita, ero convinta che il medico mi avrebbe detto di stare a riposo e tutto sarebbe tornato a posto. Mi corico sul lettino, il medico mi visita, mi fa un’ecografia. La sentenza mi pietrifica: da quel momento non mi devo più muovere, immobilità assoluta, ho perso tutto il liquido amniotico, il sacco si è rotto e la lacerazione è importante, la mia bambina non ha più acqua in cui nuotare. Il collo dell’utero è raccorciato ed è probabile che nella notte si scateni il travaglio, che non si può fermare. La bambina sta bene. Mi corrono intorno medici e infermiere, punture e flebo, “stia calma”. Non voglio partorire, la mia bambina è troppo piccola, è sana, ma è troppo piccola. Saggiamente, il medico decide per il trasferimento immediato all’Ospedale Gaslini di Genova, dove possono assistere la mia bambina nel modo migliore. Io continuo solo a piangere. Con grande stupore di tutti, il travaglio non parte. E non ho nessuna infezione (la rottura delle membrane è inspiegabile). Una nuova sentenza: devo stare calma, sopportare le cure e devo resistere il più possibile. Il più possibile quanto? Ogni giorno è un giorno regalato a mia figlia. Io resisterò e, con il mio solito ottimismo penso che se non arrivo al termine, arriverò a trenta settimane. Un mese, un mese immobile con flebo di antibiotici e vasosuprina. Mio marito mi porta in ospedale un ventilatore e ogni due o tre giorni il mio Matteo. Ho ritrovato la fiducia, il travaglio sembra lontano, io sto bene. Resisterò fino a trenta settimane. L’11 agosto 2003, dopo solo 9 giorni, alle 18.30 sento la febbre che sale, ho mal di testa. Chiamo l’infermiera. Esami veloci, la febbre sale a 39 in pochissimo tempo. Alle 20.00 arriva il medico e un’altra terribile sentenza: bisogna intervenire subito, l’infezione è fulminante, io e la mia bambina rischiamo la setticemia. Prego che non facciano nascere la mia bambina, sono convinta che resisterò, ci sono altri antibiotici, proviamo tutto, vi prego! Non c’è più niente da fare. La mia bambina nasce alle 22.19 di quel terribile giorno, il giorno più caldo di questa strana estate (il termometro a Genova segnava 38 gradi), con parto cesareo alla 27+4 settimana. Quando la tirano fuori dalla mia pancia non piange. Il silenzio mi sembra terribile. La bambina viene intubata e portata di corsa in TIN. Mio marito segue come pazzo l’incubatrice. Dalla cartella clinica: “ Apgar a 1’: 4, Apgar a 5’: 6, intubata. Peso alla nascita 1.110, peso a 2 giorni di vita 930 gr. Sindrome da Distress Respiratorio. Sepsi da Stafilococco. Frequenti attacchi di tachicardia (> 200 battiti al minuto). Condizioni: mediocri .”
La mia bambina deve la vita e il suo primo respiro ad un bravissimo medico dell’ospedale Gaslini di Genova. Un giovane anestesista, appena l’hanno tirata fuori dalla mia pancia, senza perdere un secondo l’ha “aspirata”, intubata e “messa” al volo nell’incubatrice. Prima di portarla in TIN ha detto, con umana pietà, “fatela vedere alla mamma”. La situazione vi sembrerà assurda, ma io sono molto miope e senza occhiali ho visto solo una macchia, piccolissima, rosa in mezzo al lenzuolo verde dell’ospedale. Ho chiesto gli occhiali e non me li hanno dati. Mi sono girata verso il giovane anestesista a chiedere come stava mia figlia e lui, coraggiosamente mi ha detto: “la bambina è forte, l’aspetta una strada difficile e tutta in salita, ma ce la può fare”. E’ stato il primo e l’unico a sbilanciarsi nelle prime settimane di vita di mia figlia, ma oggi dico che, non solo aveva ragione, ma aveva anche l’occhio lungo. Non so nemmeno come si chiama.
Quando l’ho vista per la prima volta, dopo 5 giorni - per mancanza di coraggio, lo ammetto!- , sono rimasta cos’ sconvolta che credevo di svenire. Invece ho appoggiato le mani sull’incubatrice e l’ho guardata. Mi sono sentita per la prima volta vinta dalla vita. Ho pianto due giorni e ho chiesto che la mia bambina venisse battezzata. Piangevo e pensavo che non ce l’avrei fatta, che io e la mia bambina eravamo state sconfitte.
Mi sbagliavo, è stato solo l’inizio di una lunga storia. Con la straordinaria forza e caparbietà che solo questi piccoli bambini hanno, ha vinto molte battaglie, perché lei voleva vivere. Ha imparato a respirare da sola: è stata intubata solo un giorno, CPAP per circa due settimane, ossigeno terapia fino a un mese di vita, continuando a strapparsi tubi e tubicini con un’energia che mi ha fatto chiedere mille volte come poteva uscire da un essere che era così piccolo e formato solo a metà. Ha sconfitto due infezioni, sommersa di antibiotici, ma senza cedere più un grammo, anzi guadagnando lentamente peso. Ad un mese di vita e 1.250 di peso, è stata trasferita in un ospedale della nostra città, perché quello in cui era ricoverato era stato infestato da una terribile infezione (fatale per i piccoli prematuri, e che si stava portando via alcuni compagni di avventure di Matilde): non solo non ha contratto l’infezione, ma per tutto il viaggio, durato due ore, in ambulanza ha dormito saporitamente, lasciando l’unità di rianimazione che la accompagnava tranquilla ed esterefatta. Io pregavo intanto per il traffico, perché non si rompesse l’ambulanza e per tante altre cose al limite dell’assurdità. Ha imparato a prendere il biberon, fra un attacco di tachicardia e l’altro (ma era solo il mio il cuore che andava in pezzi, lei non ha mai mollato). Con la tenacia che ha dimostrato dal primo giorno in cui è stata concepita, continua forsennatamente a fare progressi. E come ogni genitore di questi bimbi, ogni progresso mi riempie di orgoglio e vorrei raccontarlo a tutti, per dire quanto sia eccezionale la mia piccolissima bambina. Ha avuto un decorso “tutto sommato” buono, nonostante le condizioni alla nascita non lasciavano presagire un percorso facile. Sono stati tanti i medici che mi hanno detto che Matilde è una prematura fortunata e molto forte. Dopo “soli” due mesi, 50 giorni di incubatrice e al peso di 1.970 è arrivata finalmente a casa, bella e sana, ed è subito stata circondata dall’amore di suo fratello, dei suoi nonni (che non la conoscevano) e dei suoi zii.
Oggi Matilde ha sette mesi e uno splendido sorriso. Crescerla non è certo un compito facile, ma è un grande privilegio, perché le soddisfazioni che ci regale sono enormi. Ringrazio ogni giorno il cielo di avermi donato due figli e di essere così aiutata dal mio primo bambino, che si è dimostrato selvaggiamente innamorato di sua sorella e rappresenta per lei la vera fonte di stimoli quotidiani, la sua palestra migliore, e di questo mi convince il sorriso di Matilde quando le si avvicina suo fratello.
La mia piccolissima Matilde è nata il giorno di Santa Chiara, che con il suo sguardo vigile e amorevole veglia sui nostri bambini e porta il nome di una Santa regina dei paesi del Nord, analfabeta ma dalla leggendaria intelligenza.
E’ ancora molto difficile per me accettare quello che ci è capitato. Mi sono sentita defraudata del diritto do godere della nascita di mia figlia e, in cuor mio, ho una certa “invidia” per le gravidanze e i parti “normali”, per le mamme che abbracciano i propri figli in sala parto, piangendo di gioia, mentre io, in quel momento, piangevo di dolore. Mentre ero incinta, aspettavo con ansia la nascita di mia figlia e ne pregustavo le meravigliose emozioni, perché indimenticabile la nascita del mio primo bambino. Ma è stato tutto diverso…Mi tormenta l’”inspiegabilità” della rottura delle membrane e mi tormento con il pensiero “Me ne potevo accorgere?”. Giustamente, la mia brava ginecologa, proprio lo scorso mese, mi ha ricordato che io ho assistito al vero miracolo della vita, perché questa gravidanza non doveva andare avanti, perché la mia bambina non doveva nascere e forse non doveva vivere, invece è qui con me, bella e sana e il suo sorriso ci illumina tutti. Deve la vita, è vero a bravi medici che hanno creduto in lei sempre, fin da quando era solo un’idea, ma soprattutto a Dio.
Questa storia ha stravolto le nostre idee sulla vita, sulla morte, sui figli, sul dolore, sulle malattie, sull’aborto. Non che io e mio marito ne avessimo bisogno per fare ordine nella nostra scala di valori, ma niente è più come prima, e sono convinta che tutto sia migliore e che – e non vi sembri strano o una pazzia da mamma!-, ne siamo usciti tutti migliorati.
Non nascondo il desiderio di un altro figlio, la voglia di riprovarci, ma mio marito è pietrificato al pensiero che possa capitare ancora (quando non si conoscono le cause di un parto prematuro, combatterlo è difficile) e, come dice sempre, infondo abbiamo già due meravigliosi bambini.

Crescendo...

La piccola Matilde l’11 agosto ha compiuto un anno anagrafico (con gioia ed emozione abbiamo spento la prima candelina!). Oggi ha 14 mesi anagrafici e 11 corretti. E’ una bambina meravigliosa.
A settembre siamo andati a fare la visita di controllo (follow–up) dalla neuropsichiatra e dalla neonatologa, che la seguono oramai da un anno.
Se già Matilde aveva dimostrato risorse “misteriose” e “sorprendenti”, all’ultima visita ci ha veramente voluto stupire. La neuropsichiatria ha detto che la piccola ha uno sviluppo adeguato all’età anagrafica sia dal punto di vista motorio (è pronta per camminare…) che relazionale-neurologico (è vispa, vivace, curiosa, tenace, molto indipendente, socievole…), che “si confonde benissimo con gli altri bimbi di 14 mesi e il suo recupero è completo”. Ha aggiunto che Matilde le da molta soddisfazione, che è una gioia vederla crescere così bene e così in fretta, che è una bambina meravigliosa con una straordinaria voglia di vivere. Il controllo successivo è stato fissato per Marzo: saltiamo con gioia quello di Dicembre, perché “fa già oggi quello che in teoria dovrebbe fare fra tre mesi”.
La mia piccola Matilde ha recuperato in un anno quello che avrebbe dovuto recuperare in due/tre. E’ veramente una forza della natura.
E’ una bimba molto minuta (a fatica siamo al 10° percentile sull’età corretta), ma, come ha detto la neonatologa, ben proporzionata, forte e tonica.
E’ inutile dirvi la nostra felicità. Per una bambina che quando è nata aveva davanti a se un futuro incerto, ci sembra un grandissimo risultato.
La storia va avanti e abbiamo ancora tanta strada da fare, ma siamo ogni giorno più sereni.
Crescere mia figlia in questo primo anno non è stato facile: problemi nell’alimentazione, crescita lenta, ogni mese 2, 3 o più visite mediche (neonatologo, follow-up, day hospital per il Synagis, ecografie, oculista, otorino, prelievi…). Tutto questo è stato per me fonte di stress e paure, avevo voglia di normalità.
Le soddisfazioni che ho ricevuto e ricevo quotidianamente dalla mia piccola ricompensano tutte le fatiche, ne sono smisuratamente orgogliosa e continuo a pensare che starle accanto e vederla crescere sia una grande privilegio.
Genitori dei piccoli eroi: abbiate fiducia e speranza, sempre, i vostri bambini vi stupiranno!

pubblicato il 13 marzo 2004 - aggiornatol' 11 ottobre 2004